Lella Costa: "Sinner non mi sta simpatico. Papà era milanista, io interista grazie ai Moratti"

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L’attrice e scrittrice parla di italiani, sport e tifo: "Jannik è un gran talento, con Panatta andrei in vacanza. In Paradiso Adamo voleva qualcosa di rosa, Dio gli creò la donna ma lui desiderava la Gazzetta..."

Elisabetta Esposito

Giornalista

29 luglio - 08:25 - MILANO

Lo sguardo di Lella Costa sullo sport non poteva che essere particolare. Perché lei, attrice, scrittrice e doppiatrice, è sempre stata capace di osservare e poi raccontare il mondo cogliendone i dettagli, la profondità, il non detto e il non visto. Ha praticato attività fisica il minimo indispensabile ("A volte mi sembra un tantino contronatura", dice ridendo) e ad affascinarla sono più le persone e le storie che stanno dietro ad ogni gesto atletico. Di certo comprende bene il valore della passione sportiva, tanto che la nostra intervista parte da una sua vecchia barzelletta, che ci riguarda... "È una battuta che devo all’ironia di Massimo Cirri e Sergio Ferrentino, inserita in uno spettacolo del 1992, e spiega molto bene una possibile causa dell’incomunicabilità viscerale tra maschi e femmine: nel Paradiso terrestre Adamo sognava qualcosa di rosa di cui sentiva la mancanza, Dio interviene da par suo, crea la donna e fa casino, perché in realtà a fargli compagnia in quelle splendide mattinate Adamo avrebbe semplicemente voluto la Gazzetta dello Sport...". 

È sempre molto bella. Però va detto che, per fortuna, la Gazzetta è ormai letta anche da tante donne e che lo sport al femminile ci sta dando sempre più soddisfazioni. 

"La direzione è quella giusta, ma c’è tanto da fare. Resta la sensazione che nella percezione collettiva lo sport femminile sia sempre un po’ meno: è il famoso discorso della costola, deriva da quello maschile, quindi fa più fatica ad avere una sua specificità, anche a fronte di talenti clamorosi come ad esempio le nostre campionesse dello sci. In tanti sport, dal calcio al ciclismo, bisogna sempre aggiungere 'femminile' quando si parla di donne, quella parolina che va inserita perché è scontato che senza ci si riferisca agli uomini. È un po’ come se fossimo perennemente in Serie B, anche se chi promuove lo sport, dalle istituzioni ai vari comitati, ha oggi grande attenzione per la parità di genere. Forse tra i giovani qualcosa sta cambiando, me lo auguro". 

Nel suo spettacolo poi libro 'Se non posso ballare... Non è la mia rivoluzione' ha raccontato 102 grandi donne tra cui diverse sportive. 

"Con una praticamente apro libro e spettacolo, Wilma Rudolph, una ragazzina a cui avevano detto che non avrebbe mai camminato per colpa della polio: ha vinto tre ori ai Giochi di Roma 1960. Ci sono tanti esempi bellissimi di eccellenze femminili che forse dovremmo raccontare ancora di più".

Parliamo dell’Inter? Passione nata in famiglia? 

"No, anzi. Il mio babbo era più milanista, poi ci sono state vicende che hanno un po’ spostato gli equilibri, alcune invasioni di campo... Sono legata all’Inter per il bellissimo incontro che ormai tanti anni fa ho avuto con Massimo e Milly Moratti, persone speciali che mi hanno spinto ad appassionarmi e a voler bene ai colori nerazzurri. Peraltro erano anni meravigliosi per l’Inter, culminati col triplete, e da allora è rimasto un grande affetto". 

Come ha vissuto la passata stagione? 

"Mi sembra che la squadra si sia davvero giocata tutto male, avrebbe potuto ottenere tanto e non ha vinto niente. Mi è dispiaciuto molto, ma se dicessi che ci ho perso il sonno mentirei". 

Tifosa moderata insomma. 

"Sì, anche perché trovo che la tifoseria vada monitorata con grande attenzione. Ovviamente non mi riferisco alla sana passione o al senso di appartenenza. Però ogni santa domenica vediamo succedere delle robe vergognose e preoccupanti nelle strade e negli stadi. Quello è il modo maschile, perché le donne tifose restano una percentuale bassa, di considerare guerra qualunque forma di confronto. Bisogna ragionarci". 

Ha un giocatore del cuore? 

"Ho da sempre una grande ammirazione per Javier Zanetti, un uomo meraviglioso e un campione straordinario, come Giacinto Facchetti. Ho anche conosciuto il mitico Boninsegna, l’ho trovato follemente simpatico". 

Nel calcio di oggi? 

"A un festival di libri a Corbara ho incontrato Thuram padre, altro uomo magnifico, quindi guardo con affetto i suoi figli". 

Altre passioni sportive? 

"Mi è sempre piaciuto molto il tennis, anche se adesso giocano a dei livelli di forza e di velocità che più che ammirata mi fanno rimanere attonita. Sinner? Grande talento, ma non posso dire che mi stia simpatico, anche se so di espormi alla vergogna nazionale. Invece ho avuto la grande fortuna di conoscere Panatta a carriera terminata al Festivaletteratura di Mantova: uomo irresistibile, spiritoso e intelligente, ci andresti in vacanza subito". 

Il suo modo di vedere lo sport aveva portato anche a una collaborazione con il nostro giornale. 

"Vero, me lo chiese Candido Cannavò, che è stato un amico carissimo: scrivevo sull’ultima pagina del vostro magazine, a turno con Dan Peterson e Julio Velasco. Ovviamente il mio punto di vista era un po’ diverso dagli altri, però è stata una bella esperienza. A proposito di Velasco, nei suoi confronti ho un’autentica venerazione. Ricordo un incontro letterario con lui e Quino, il papà di Mafalda, sempre a Mantova: era stato tra i più appassionanti che ricordi, vissuto con leggerezza, senza prendersi troppo sul serio. Per me Velasco è un leader, non solo sportivo". 

Altri incontri che l’hanno colpita? 

"Lea Pericoli. Meravigliosa, di una bellezza rara e con un’eleganza naturale che mi hanno incantato. E poi Alex Zanardi, un incontro che tengo nel cuore con una persona fantastica".

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