In Parlamento parte la corsa per le firme sul referendum

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Non c'è fretta, ma i partiti hanno deciso di correre. Perché la posta in gioco va oltre la riforma della giustizia. Alla Camera centrodestra e centrosinistra hanno avviato due distinte raccolte di firme per chiedere che venga indetto il referendum con cui gli italiani saranno chiamati ad approvare o a respingere il provvedimento che contiene anche la separazione delle carriere fra pubblici ministeri e giudici.

    Entrambi gli schieramenti confidano di raggiungere in fretta l'obiettivo: le adesioni di 80 deputati. Un iter analogo è stato avviato al Senato, dove la quota è 40. Col referendum, la maggioranza punta prima di tutto all'approvazione "popolare" di una delle riforme simbolo del governo. L'opposizione mira alla bocciatura di norme che "stravolgono la Costituzione" e confida nella possibilità di assestare un colpo duro al centrodestra.

La premier Giorgia Meloni, però, non è intenzionata a legare le sorti dell'esecutivo all'esito della consultazione. "Il governo andrà avanti fino alla fine della legislatura - ha ribadito il capogruppo di Fi al Senato, Maurizio Gasparri - Il referendum sulla separazione delle carriere non va politicizzato".

Forza Italia resta però il partito che spinge di più: considera la riforma come un'eredità politica del cavaliere. "La famiglia Berlusconi è impegnata" nella campagna del referendum, ha assicurato il segretario azzurro, Antonio Tajani, anche se "non so se vorranno" esporsi "direttamente". Nel centrosinistra, si ripropone l'eterna questione dell'ampiezza del campo largo. "Il lavoro che faremo insieme sul referendum - ha detto il senatore del Pd, Alessandro Alfieri - sarà un altro banco di prova.

    Sappiamo che non tutte le opposizioni la pensano in maniera simile". In Parlamento le firme vengono raccolte da Pd, M5s e Avs. Non si è aggregata Italia viva, che si è astenuta sulla riforma. E che ancora non ha deciso come voterà al referendum: "Stiamo valutando e discutendo", ha detto la capogruppo alla Camera, Maria Elena Boschi. Il giudizio sulle norme è comunque negativo: "Uno specchietto per le allodole", ha detto il presidente di Iv Matteo Renzi, secondo il quale in caso di sconfitta la premier dovrebbe dimettersi: "E' evidente che il governo sta chiedendo la fiducia agli italiani".

"Sì" convinto, invece, da parte di Azione: "E' una riforma giusta. Libera il Csm dal sistema Palamara delle correnti, che controllano tutto", ha ribadito il segretario Carlo Calenda. Centrodestra e centrosinistra confidano di chiudere la raccolta firme in poche ore. A metà giornata la maggioranza ne aveva già messe insieme una quarantina, mentre l'opposizione una decina. Nei prossimi giorni le due liste verranno depositate in Cassazione, che ne valuterà la validità. In caso di nulla osta (a entrambe o anche a una sola) spetta al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella dare il via libera alla consultazione.

Il quesito è praticamente scontato: sì o no alla riforma. Il ministro della Giustizia Carlo Nordio confida di poter vedere gli italiani alle urne tra marzo e aprile. Fra le ipotesi legate alla tempistica della richiesta di referendum da parte della maggioranza, c'è anche quella di un legame con le scadenze dei mandati di procuratori di città di peso.

Le successioni potrebbero così avvenire sotto il Csm nella nuova composizione prevista dalla riforma: i decreti attuativi sono già pronti. Comincia quindi la campagna referendaria, che troverà spazio ad Atreju, la kermesse di Fdi in programma a dicembre. Anche se manca l'invito ufficiale (il programma è in costruzione e tenuto al momento segretissimo) tra gli ospiti dovrebbe figurare il presidente dell'Anm, Cesare Parodi, che a settembre si era autocandidato proprio per spiegare le motivazioni del "no" alla riforma.

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