"In aria mi sento a casa": Felix, l'uomo che sfidò la stratosfera davanti a 8 milioni di persone

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Le straordinarie imprese di Baumgartner e il suo rapporto con la paura: "Anche io ne ho, è diventata mia amica". Così un bambino cresciuto guardando gli uccelli è diventato il re dell'impossibile

Giorgio Burreddu

Collaboratore

17 luglio - 22:17 - MILANO

E quindi, gli chiesero, prima del salto hai qualche timore riguardo a questo passo verso l’ignoto? Felix Baumgartner sedeva nella hall di un albergo di Londra con l’aria condizionata, non importa quale. Domande del genere gliele avevano ripetute già due, tre, centinaia di volte. Ma la colpa non è sempre dei giornalisti. Certe cose appaiono così insondabili e mistiche, hanno a che fare con la vita e con la morte e diventano difficili da comprendere. Baumgartner non si tirò indietro nemmeno quella volta. “Timore? Certo, il timore c’è sempre. È ciò che mi impedisce di oltrepassare troppo il limite”. Era già l’uomo che si era lanciato da un pallone aerostatico a 38.969,4 metri di altezza, l’uomo che aveva compiuto quello che allora era il salto più alto mai registrato, l’uomo che aveva raggiunto la velocità di 1.357,64 chilometri orari, l’uomo che aveva infranto la barriera del suono senza l'ausilio di un velivolo. “Tuttavia, essendo stato coinvolto in imprese estreme per tanto tempo, ho imparato a usare la paura a mio vantaggio. La paura è diventata mia amica”. C’è qualcosa di oscuro in questi uomini che vivono al limite. Camminano sul filo, in bilico sull’impossibile. E qualche volta ne vengono sovrastati. 

da salisburgo

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Baumgartner se n’è andato a 56 anni. Ha avuto un incidente dopo essersi lanciato in parapendio ed è precipitato in una piscina a Porto Sant’Elpidio, in provincia di Fermo. Venne al mondo nel 1969, a Salisburgo, l’anno in cui l’Apollo 11 sbarcò sulla Luna. Era la stagione della corsa allo spazio, si era entrati in una nuova era. Anni in cui bastava accendere la tv per vedere gli astronauti, immaginare altri mondi, altre imprese, cose che prima sembravano lontanissime. Felix aveva sempre sognato di volare. "Quando ero piccolo, avevo sempre questo grande desiderio di volare come un uccello”, avrebbe detto alla Cnn. Desiderava lanciarsi con il paracadute e pilotare gli elicotteri: avrebbe realizzato tutti e due i suoi sogni. “L’aria è il posto in cui mi sento a casa". Si lanciò per la prima volta a sedici anni. Poi, quando arrivò l’ora di entrare nell’esercito, non ebbe dubbi e si dedicò al paracadutismo. Ma c’era qualcosa in Felix, un’attrazione per l’incredibile che negli anni Novanta cominciò a rendere reale. Nel 1999 ottenne il record di altezza per un lancio da edificio saltando dai 452 metri delle Petronas Twin Towers in Malesia. E a Rio de Janeiro, qualche mese più tardi, effettuò il discusso lancio dal Cristo Redentore: raggiunto il punto più alto della statua (circa 29 metri dal suolo) si buttò nel vuoto realizzando quello che definì il base jump più basso del mondo. Non gli bastava. “Era molto emozionante, ma dopo un po' mi sembrava di ripetermi continuamente. Volevo provare qualcosa di diverso”, scrisse in un articolo per Newsweek. Molti paracadutisti guardano il cielo, desiderosi di volare più in alto o di battere i propri record. “Nel 2005 mi è stata proposta l'idea di lanciarmi con il paracadute dalla stratosfera terrestre. Ho parlato con il mio amico Art Thompson, uno scienziato e una persona molto intelligente, e abbiamo iniziato a organizzare e mettere insieme una piccola squadra”. 

il foglio di trifonov

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Le grandi imprese non nascono per caso. Sono legate all’attimo, ma si trascinano dietro anni di studi, tentativi, fallimenti, emozioni, contrasti. E casualità. Un giorno l’aeronauta Ivan Trifonov gli si avvicinò e gli mise in mano un foglio di carta. “Quel foglio di carta conteneva due immagini: la prima era la foto di un enorme pallone; la seconda mostrava un astronauta in tuta spaziale”. Trifonov voleva che Felix saltasse da un’altezza di 50 chilometri, precipitando verso la Terra a una velocità doppia rispetto a quella del suono, stando in piedi nella parte inferiore di un razzo. Sarebbe atterrato a Gosau, un tranquillo paesino tra le montagne austriache. “Disse di aver già concordato la cosa con il sindaco. Era piuttosto assurdo, quindi lo ringraziai e non lo contattai più”. Più tardi un uomo d’affari americano si presentò da Felix e gli propose un progetto simile. “Anche questo era piuttosto irrealistico, ma pensai che dovesse essere un segno”, ha raccontato a Der Spiegel. Per i successivi sette anni Felix non pensò ad altro: lanciarsi dalla stratosfera. Una pazzia. Che adesso era diventata un progetto. Una visione. Sì, realizzava imprese non ufficiali come lanciarsi dal grattacielo più alto di Taipei (venne bandito a vita dal Paese) oppure azioni spettacolari come quella dal viadotto di Millau in Francia, il ponte più alto del mondo, o il lancio nella caverna Mamet in Croazia. Ma Felix aveva visto qualcosa. L’aveva cercata lassù, e alla fine l’aveva trovata. “Le persone sono affascinate dal mondo sopra di loro perché sembra così irraggiungibile”. “La mia mente era costantemente concentrata sul Red Bull Stratos. Avevamo tre settimane di allenamento intenso e test, e poi un paio di settimane di pausa. Ma non potevi davvero goderti quelle settimane di pausa perché pensavi ancora al prossimo grande compito. Era un grande dispendio di energie e non ti godevi più la vita perché c'era una missione così grande da portare a termine”. Cominciarono a chiamarlo Fearless Felix, Felix senza paura. Ma era una bugia. Negli anni Baumgartner ha tentato più volte di smussare l’idea che buttarsi nel vuoto, da altezze inimmaginabili sia facile. Ancora allo Spiegel, nel 2012, dirà: “Non sono un drogato di adrenalina. Non è mai stata questione di brivido per me. Io amo le sfide e mi sento a casa nell’aria, come i marinai in mare e i montanari in montagna. Certo l’adrenalina conta, ma non è mai in primo piano: è sempre stato tutto incentrato sui traguardi e sul modo di raggiungerli”. 

l'impresa 2012

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Baumgartner non cercava il divino, né l’immortalità. Aveva sogni semplici. Da ragazzo si arrampicava sugli alberi, guardava gli uccelli volare, ne studiava il mondo, e quando gli alberi non erano abbastanza stava sui tetti. “Perché mi piaceva la vista dall'alto. Volevo vedere il mondo dall'alto”. L’impresa del 2012, che porterà per sempre il suo nome, era già tutta lì, in quei gesti semplici e infantili. Non è questione di consapevolezza nei propri mezzi, né di audacia. Quando Felix è salito a bordo di una capsula pressurizzata fino a poco più di 128.000 piedi, ovvero 39 chilometri sopra la superficie terrestre, un'altitudine record per un volo in mongolfiera con equipaggio, l’unica cosa che stava guardando era se stesso bambino. Uno che ce l’aveva fatta. Aveva sofferto di claustrofobia, gli studi sulla tuta erano stati estenuanti, e diverse volte il progetto sembrò sul punto di fallire. “Mi sembrava impossibile. Ero devastato”. Il 14 ottobre del 2012 alle 19.09 invece si lanciò. Baumgartner precipitò a una velocità pari a circa 1,25 volte quella del suono e riuscì ad atterrare sano e salvo, essendo uscito da una spirale che avrebbe potuto far scattare il suo paracadute di sicurezza e vanificare le sue speranze di raggiungere la velocità supersonica. “Molti ragazzi ora mi considerano il Felix senza paura, ma spero di riuscire a rendere la paura cool. Tutti questi ragazzi devono sapere che anche Felix ha paura. Così possono affrontare le proprie paure. Ce l'ho fatta: all'inizio avrei considerato la tuta un handicap. E le persone con disabilità devono trovare un modo per convivere con il loro handicap”. Atterrò in New Mexico. Disse: “Quando sei lì al record non pensi più, pensi solo a tornare vivo”. Tenne una conferenza stampa. Il New York Times lo incalzò: “Cosa si prova?”. E ancora: “Prima di saltare che cosa si prova?”. Felix sorrise: “Credetemi, quando sei lassù in cima al mondo diventi umile. Non si tratta più di record o dati scientifici, si tratta solo di tornare a casa”. Si tirò fuori da quella vita. “Farò il pompiere o il soccorritore in montagna”. 

Non è andata proprio così. Volò in elicottero accumulando centinaia di ore di volo, entrando poi nella squadra The Flying Bulls. Tentò con successo la strada dell’automobilismo endurance partecipando da rookie alla 24 Ore del Nurburgring (la sua squadra arrivò al nono posto). Debuttò in un incontro professionistico di pugilato (categoria medio-massimi) e riuscì a vincerlo ai punti. Ma con l’adrenalina aveva chiuso. "Ho raggiunto un picco e non devo superarlo di nuovo”. Un anno dopo il lancio Felix incontrò uno dei suoi idoli, Neil Armstrong. Erano a cena. Cosa hai pensato quando hai messo piede sulla Luna?, gli chiese. E lui rispose: ‘Non ho pensato a mettere piede sulla Luna. Stavo lavorando’. Aveva un libro pieno di lavoro da portare a termine, quindi stava solo spuntando le cose fatte, passo dopo passo. La pensavo anch'io così”. Quella di Baumgartner fu un’impresa collettiva: otto milioni di persone lo avevano seguito live su YouTube. “Hanno potuto guardare in diretta sui loro schermi come qualcuno si solleva fino alla stratosfera, anche se la parte successiva è stata probabilmente ancora più affascinante per loro”. Prima di gettarsi nel vuoto ebbe un attimo di estasi: “A volte devi andare veramente in alto per capire quanto siamo piccoli”.

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