Il primo messicano in rosa è un potenziale fuoriclasse, che per emergere ha lasciato casa giovanissimo. Talento super, studia le corse in tv: "Sono una persona che analizza"
Dovete pensare a tutto quello che ha perso per capire quanto Isaac Del Toro desideri vincere con tutte le sue forze. È nato a Ensenada, porto messicano a poco più di 100 chilometri da San Diego, nella Baja California. Una città di mare, non di salite. Famosa per la vita notturna e per il viavai di turisti. Una località dove gli sport sono fondamentalmente tre: baseball, calcio e surf. Ma El Torito difficilmente segue la strada più semplice. Ha cominciato a pedalare perché sua madre voleva dei figli atletici. "Mio padre, Jo Toro, era stato un ciclista". Suo fratello Angel, che ha due anni in più, aveva già cominciato col ciclismo. "Ricordo che lo guardavo pedalare e mi piaceva molto. Così ho pensato che sarebbe stato bello anche per me. Mi sono appassionato al ciclismo guardando il Tour de France con Nairo Quintana e Chris Froome". Aveva sette anni quando cominciò ad allenarsi come un atleta vero, e a seguire una dieta da corridore. Era ancora alle elementari quando partì per le prime gare: strada e mountain bike. Non era veloce, così si impegnava ogni giorno per migliorare il suo punto debole. "All’inizio non ci pensavo molto però. La bici era sempre lì. Io avevo in testa la scuola, gli amici". Presto però le sue priorità sono cambiate: in classe si annoiava, non vedeva l’ora che venisse il pomeriggio per andarsi ad allenare. "All’improvviso morivo dalla voglia di andare in bici. Era una cosa che amavo fare". Si fece portare da Jo su alcune delle salite più epiche del Messico, la sterrata che sale sui 4.631 metri del Nevado de Toluca e la strada di montagna che attraversa il parco Desierto de Los Leones, alla periferia di Città del Messico, e arriva a 3.065 metri sul livello del mare. "Mi piace allenarmi in quota. So come reagisce il mio corpo. Mi permette di spingere al massimo cuore e polmoni".
AVANTI E INDIETRO
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Quando ha compiuto quindici anni, Isaac ha dovuto prendere la decisione più importante della sua vita. Aveva già capito che rimanendo in Messico non sarebbe mai diventato un ciclista professionista. Gli parlarono di un annuncio della AR Monex, continental messicana con sede a San Marino. Quando gli dissero che aveva superato le selezioni, Isaac seppe immediatamente che la sua vita sarebbe cambiata per sempre. Lasciò tutto, famiglia, scuola e amici, e si trasferì in Europa. Il primo approccio fu durissimo: il livello delle corse era inaspettato, e poi Isaac si ritrovò a convivere con un gruppo di corridori come lui, "era come se fossimo l’equipaggio di un sottomarino". Poi ci si mise la pandemia: tutto chiuso, tutto cancellato, niente gare. Tornò in Messico a pedalare sulle sue strade. Rientrò in Europa nel 2021: corse i Mondiali Juniores su strada e a cronometro in Belgio, in Italia vinse una gara di ciclocross. Doveva correre il Tour de l’Avenir nel 2022, ma una settimana prima di partire cadde - cadeva spesso all’epoca - e si fratturò un femore: venti giorni in ospedale, sette mesi senza bici, il rischio di una carriera compromessa, e in eredità una certa paura. "Ero sempre stato una persona forte mentalmente, competitiva. Alla linea di partenza sapevo sempre cosa dovevo fare. Ero molto concentrato. Gareggiavo per vincere. Ma ovviamente c'è il dubbio. Nel ciclismo non c'è niente di garantito. Possiamo forare. Possiamo cadere. Niente è certo. Il dubbio è sempre presente". C’era da ricostruire il morale, da ritrovare la fiducia. Andò all’Avenir l’anno dopo e lo vinse. Anzi no: lo stravinse. Il podio al Val d’Aosta gli aveva dato consapevolezza, e il suo direttore Piotr Ugrumov aveva rifinito il suo talento. La vittoria sul Col de la Loze davanti a Riccitello, Piganzoli e Pellizzari fu come un tappo che saltava. "Non potevo credere che la mia prima vittoria su strada sarebbe stata sul Col de la Loze. Onestamente è stata una cosa grandiosa, un momento di catarsi dopo tanta sofferenza". Nell’ultima tappa c’era un’altra leggenda da affrontare, l’Iseran: vinse Pellizzari, ma Del Toro si prese la classifica finale sfrattando l’americano Riccitello. "Sapevo che avrei potuto perdere tutto. Ma non volevo il secondo posto. Non mi ero allenato per il secondo posto". Dopo il suo successo, il governatore della Baja California Erik Morales gli fece i complimenti sui social, e suo padre Jo Toro lo esortò a cancellarli. "Trovo questo tipo di pubblicazione sgradevole quando Isaac non ha ricevuto un centesimo o alcun tipo di aiuto". Il carattere è un marchio di famiglia
PREDESTINATO
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Primo messicano a trionfare al Tour l'Avenir, una corsa che hanno vinto Gimondi, LeMond, Indurain, Fignon, Bernal e Pogacar. E oggi è il primo messicano della storia a vestire la maglia rosa, conquistata con una condotta aggressiva e spregiudicata. A San Marino vive nello stesso condominio di Piganzoli e Pellizzari, al piano di sopra. Il suo cellulare è pieno di video e materiali sul ciclismo. "Sono una persona che analizza tutto". Passa diverse ore al giorno studiando vecchie corse per imparare da situazioni che possono ripetersi. È convinto che una parte significativa delle corse si svolga fuori dalla strada. "Il ciclismo richiede molta intelligenza. Gli esseri umani non differiscono molto l'uno dall'altro, la vera differenza sta nel numero di soluzioni che possiamo fornire, nel modo in cui affrontiamo le difficoltà durante la gara". Così cerca di imparare il più possibile guardando interviste ai corridori e filmati di gara."Mi piace come corre Vingegaard. Mi piace l'aggressività di Pogacar. Mi piace la capacità di Van der Poel di spingere al limite e la superiorità e l'instancabilità di Pedersen. Mi piace cercare di prendere il meglio da ognuno". Ha esordito tra i professionisti nel 2024 vincendo la prima tappa del Tour Down Under, ha rivinto ben presto alla Vuelta Asturias. Quest’anno ha trionfato alla Milano-Torino. Ha firmato un contratto con la UAE Team Emirates fino al 2029, l’idea di essere compagno di squadra di Pogacar gli sembra ancora surreale. "Entrare in una squadra professionistica e indossare una maglia è come vestirsi da Spiderman". Esile e simpatico, El Torito trasuda sicurezza. "Passiamo undici mesi l’anno via da casa e lo facciamo con grande piacere, ma è comunque complicato. Sono fuori dal mio Paese e dalla mia città, non vivo con la mia famiglia, ma con persone fantastiche che diventano come fratelli. Però non è la stessa cosa". Alla vigilia dell’ultima Strade Bianche, in quella Siena che pochi mesi dopo lo avrebbe visto in maglia rosa, di Isaac parlò proprio Pogacar. "Del Toro è un corridore di grandissimo talento che sta crescendo così rapidamente che magari tra un paio d’anni sarà anche più forte di me. Oggi ho più esperienza di lui e mi piace dargli consigli su tante piccole cose". Diretto e sincero, Isaac ha spalancato gli occhi scuri quando gli abbiamo chiesto se adesso dovrà chiarirsi con Juan Ayuso, che prima di questa tappa era il capitano unico della squadra. "Perché? Siamo amici", ha risposto El Torito con la stessa franchezza con cui aveva annunciato i suoi programmi alla vigilia del Giro. "Se potrò fare classifica voglio farmi trovare pronto". Non dite che non l’aveva detto.