"Il sesso, una sigaretta, ed è tutto finito". Adriano Panatta, un uomo libero

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Portrait of Italian tennis player Adriano Panatta in the stands of the French Open in May 1979. (Photo by André Crudo / Photo12 via AFP)

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I trionfi, i capelli a onda, il sorriso da attore, le battute, gli amori, le partite con Gassman e Tognazzi, le esagerazioni, l'autoironia e tante sigarette. istantanee della prima star del tennis in Italia: "Se avessi fatto una vita diversa non sarei stato io e io mi preferisco così"

Alessandra Giardini

Collaboratore

7 giugno - 14:54 - MILANO

Sempre stato libero, anche di non celebrarsi. E infatti i trofei li ha persi in qualche trasloco, "ma tanto erano tutti arrugginiti". Ammette che invecchiare ha i suoi vantaggi ma gli svantaggi sono più numerosi. Conta tre rimpianti in tutto, e uno è Wimbledon 1979, ma poi si contraddice e anzi si corregge, "non è mai stato uno dei suoi sogni, ho sempre pensato che fosse uno scherzo, dai, non si può giocare sull’erba". Di sogni ne aveva tre (come i rimpianti): vincere Roma, vincere il Roland Garros e vincere la Coppa Davis. E il destino glieli ha fatti realizzare tutti e tre nello stesso anno, il meraviglioso 1976 di Adriano Panatta. Una felicità assoluta. "Non la puoi paragonare alle gioie della vita. È un lampo, una gioia grande, che dura pochissimo. È come quando godi dopo il sesso, poi fumi una sigaretta ed è tutto finito". La sera del successo a Parigi lo aspettavano al ristorante sua moglie e un po’ di amici, dieci persone in tutto. Gli altri ordinavano piatti ricercati, aprivano bottiglie preziose, volevano fare un brindisi alla poesia del tuo tennis. Lui si sentiva distante e un po’ depresso, vuoto. "Mi dicevano: ma che hai? Io stavo pensando: tutto qui? In fondo ero solo stato in mutande, con una cosa in mano, a rincorrere una palletta. Non avevo mica inventato la penicillina". Lo ha raccontato in un libro sul vuoto, quello che ti prende nel momento di massima pienezza per un campione. Dissacrare, sminuire, smontare: lo fa continuamente. "La felicità dura dieci secondi, forse meno. È come una folata all’improvviso, quando non c’è vento. Pensi: bellissimo, ed è già finita. La magia non dura. Me la sono fatta bastare". Gli altri non erano preparati a vedergli addosso tutta quella malinconia. Aveva vinto Roma e poi Parigi, uno dopo l’altro. Era il momento di festeggiare. Ma lui no. "Ricordo questa sensazione abbastanza strana. Pensavo: bello, bellissimo, ho vinto ‘sta cosa, ma adesso lasciatemi in pace, io sono un uomo triste". Esagera sempre Panatta.

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