Il pentatleta si racconta a Sportweek. Elegante, pignolo, testardo. E capace di eccellere in qualsiasi sport: "Tranne che a calcio, lì sono negato". Nella sua disciplina è il n.1 al mondo: si allena 8 ore al giorno, per sei giorni. "E alla domenica mi annoio"
C’è una sola cosa che non sa fare: giocare a pallone. Così sostiene, almeno. E non siamo certi di credergli. Perché Giorgio Malan, 25 anni, torinese, rasenta davvero la perfezione, sembra impossibile trovargli un difetto, per quello che fa e per come lo dice. Educato, elegante, fortissimo. Un superman gentile. Dopo lo storico bronzo olimpico a Parigi 2024 nel pentathlon moderno (medaglia che mancava all’Italia da 36 anni), l’11 maggio scorso ha vinto l’oro nella tappa di Coppa del mondo a Pazardzhik (Bulgaria), conquistando il primo posto nel World Ranking con 185 punti. Anche se nel frattempo sono cambiate le regole e anche una delle discipline...

Giorgio, ci elenchi gli sport che fai (e bene) in 90 minuti?
"Corsa, nuoto (200 stile libero), scherma (spada), tiro con la pistola e il percorso ostacoli. Hanno tolto l’equitazione, peccato: era così elegante".
Aggiungi quelli che hai fatto nella tua vita. "Sci, karate, tennis, skateboard, surf e tanti altri. Ora non mi vengono in mente tutti".
Dove e quando hai scelto il pentathlon? Non ne bastava uno?
"Ero abbastanza piccolo. Mi piaceva provare tutti gli sport, facevo fatica a sceglierne uno. Quando ho scoperto il pentathlon, ho capito subito che era fatto apposta per me".
Ma il primo dei primi qual è stato?
"Il nuoto, i miei mi hanno iscritto in piscina a 3 anni, ma anche a scuola sci. Ero un bimbetto abbastanza attivo, diciamo anche iperattivo: papà e mamma hanno capito subito quale fosse la soluzione".
Come si fa a preparare così bene tante discipline?
"Eh, non è facile perché purtroppo la giornata è... solo di 24 ore e bisogna incastrare tante cose. Ognuno di noi ha delle carenze e dei punti di forza, quindi decide di settare la propria programmazione più su uno sport che su un altro, ma bisogna trovare l’equilibrio, che è abbastanza soggettivo. Io tutti i giorni faccio tre o quattro sport al giorno, tra 6 e 8 ore, esclusi gli spostamenti, perché c’è da considerare anche quelli: non abbiamo una palestra dove possiamo fare tutto, andiamo dalla piscina al campo d’atletica alla sala scherma. E anche questo prende tanto tempo".
Hai un giorno di riposo?
"Sì, la domenica. Ma mi fermo già il sabato pomeriggio, perché è importante allenarsi, però è fondamentale recuperare".
E cosa fai la domenica? Ti annoi?
"Capita spesso che la domenica un po’ quella sensazione di noia arrivi… Raggiungo la mia fidanzata a Milano; vedo gli amici di sempre (per la vita che faccio, amici nuovi faccio fatica ad averne), sto con la mia famiglia. Divano, tv, a cena fuori. Ma il lunedì mattina non vedo l’ora di ricominciare".
Quand’è che scopri il pentathlon? È uno sport antico, ma non così popolare.
"Grazie al mio insegnante di nuoto, Giancarlo Duranti: ero molto piccolo quando me l’ha proposto e mi ha subito affascinato. E siamo arrivati fino all’Olimpiade 2024, alla Reggia di Versailles. È stato un viaggio dal giorno zero fino a Parigi, molto bello".
Hai anche un difetto?
"Sì, sì, sicuramente. Sono molto pignolo e testardo sul lavoro, un po’ perfezionista che è un pregio e insieme un difetto, perché divento un po’ maniacale su certe cose e non fa mai bene esserlo troppo".
Che cos’è per te lo sport?
"È una passione, mi piace farlo, senza mi annoio, mi fa stare bene. E poi mi piace gareggiare, preparare una gara, vivermela rincorrendo piazzamenti importanti: mi dà un sacco di adrenalina e di soddisfazione. Ci sono mattine che ti svegli e sei devastato, vorresti solo rimanere nel letto, invece ti aspetta un’altra giornata di allenamento molto dura. Il giorno dopo uguale, il giorno dopo ancora uguale, però poi quando arrivi al risultato, a una medaglia, tutto è ripagato 100 volte. Se ripenso all’Olimpiade, è andata proprio così".
Ma c’è uno sport in cui invece sei una schiappa?
"Il calcio. Non sono mai stato bravo a giocare a pallone, diciamo che sono veramente negato, infatti... ho dovuto puntare su tutt’altro".
Su molto altro. Hai un mito?
"Da piccolo guardavo con ammirazione Michael Phelps. Oggi non ho un mito, però mi piace molto seguire lo sport, anche in televisione, e mi piace guardare ai grandi campioni, ai loro comportamenti per provare a capire e rubare loro qualche segreto".
Tipo? Me ne dici cinque?
"Difficile, ci proviamo. Sicuramente Sinner, per l’umiltà e la dedizione al lavoro, è pazzesco. Vince tornei mai vinti prima da un italiano, ti aspetteresti una gioia immensa, invece è sempre lì composto e che guarda al prossimo obiettivo. Quella è una mentalità che mi piace molto. Parlavo prima di Phelps, un animale da gara, un fenomeno a 360 gradi, una grinta superiore, uno che in gara tirava fuori quel qualcosa in più. E poi nel ciclismo c’è Tadej Pogacar, di lui mi piace la spensieratezza con cui rende tutto facile. Che poi facile chiaramente non è. Si gode quello che fa, che poi è la cosa che cerco di fare anch’io. Perché è vero, lo sport è faticoso, è un lavoro, però è anche la mia passione, quindi lo faccio divertendomi. Come lui. Poi Roger Federer per l’eleganza: ha fatto amare il tennis anche a chi non capisce nulla di tennis. Ti faceva apprezzare il gesto tecnico, anche senza capirlo fino in fondo. Chiudo con una donna, potrei dire Federica Pellegrini, ma ti direi Sofia Goggia per la grinta che mette in tutte le gare, per la forza con cui si rialza dalle cadute: la guardo con molta ammirazione".
In che ruolo giocavi a pallone con gli amici?
"Mi mettevano solitamente sulla fascia perché lì c’è da correre tanto e a me piaceva già allora correre. Ma quando dovevo crossare erano… dolori. Ecco, devo ammettere che faccio fatica con gli sport col pallone: calcio, basket, tennis. Probabilmente quella coordinazione lì mi manca, tutto il resto più o meno ce l’ho".
Hai deciso già cosa farai da grande?
"Mi piace molto il marketing. Studio Economia e non con poche difficoltà, perché inserire anche lo studio nel mio programma di allenamenti è molto difficile. Sono all’ultimo anno, ma ancora della triennale, l’organizzazione è faticosa tuttavia la laurea è importante, e lo sport la mia vita: il sogno è rimanere nell’ambito sportivo, non necessariamente nel pentathlon".
E che cos’è la felicità?
"Fare quello che ti fa stare bene, indipendentemente da cosa ci impone la società. Spesso siamo portati ad assecondare luoghi comuni, etichette: se fai quello e sei bravo, allora sei appagato e quindi sei felice. Eh, non per forza".
E invece c’è una cosa che ti fa paura?
"Paura è una parola che cerco sempre un po’, in qualche modo, di evitare. È un sentimento che può sopraffarti prima di una gara, nel momento in cui devi performare, quindi bisogna cercare di aggredirla invece che subirla. Ci sono tante cose che mi fanno paura. La paura inconscia di deludere me stesso, nonostante tutti i sacrifici, tutto l’impegno che ci metto, ma soprattutto la paura di deludere gli altri, le persone che mi stanno vicino e che credono in me: so che non mi stanno accanto per i risultati, ma quando arrivano mi sembra di ripagare anche un po’ tutti loro che fanno tanti sacrifici per me".
A proposito di risultati, Parigi in un ricordo, in un istante, in un’emozione: qual è?
"Ho sempre in mente questa frase che racchiude tutto il percorso: ‘È stata una figata’. Perché quando ho tagliato il traguardo ho proprio pensato così. È stata una gara molto tirata, ho iniziato male con la scherma, quindi è stata tutta una rimonta e quando ho tagliato il traguardo e mi sono reso conto di aver vinto il bronzo, lì mi son proprio goduto il tutto. Non cambierei assolutamente nulla di quel giorno, ero già felice prima di partire, perché sapevo di aver dato il mio 100 per cento. Parigi ‘è stata una figata’".
Il prossimo sogno da realizzare?
"Si dice che l’appetito viene mangiando. Nonostante le tante variazioni (ora la scherma è a eliminazione diretta), il pentathlon mi piace, cioè voglio continuare su questa strada e cercare sempre di migliorarmi, un po’ come Sinner, no? Ci sono ancora tante gare in cui poter affrontare i migliori al mondo cercando di fare dei buoni risultati. E poi chiaramente ci sarà Los Angeles 2028. Mi sono goduto così tanto Parigi, non vedo l’ora di rifarlo a Los Angeles".