Fratelli d'Italia, arrivati da lontano. Nati a Marino da genitori stranieri o in Marocco, sono i ragazzi vincenti dello sport azzurro, in un'estate mai così multietnica sotto l'ombrello dell'inno cantato sul podio. L'oro ai Mondiali di atletica nel lungo di Mattia Furlani è l'apice di una stagione fortunata, agonisticamente, e simbolica, sotto il profilo della società. Perchè sono fratelli italiani di seconda generazione o naturalizzati.
Il trionfo di Paola Egonu e Myriam Sylla ai mondiali di pallavolo femminile, il bronzo mondiale del maratoneta Ilyssa Aouani che si dichiara "orgogliosamente italiano", l'exploit di Silou Niang, cestista senegalese di cittadinanza italiana, e poi l'eco dell'oro europeo del basket dell'Italia U.20 dedicato a gli haters che avevano puntato il dito contro i giocatori di colore.
"Orgoglio azzurro", esulta Matteo Salvini per l'oro di Furlani. E il clima sembra lontano anni luce da quel 2018 in cui la vittoria di quattro azzurre di colore nella 4x400 ai Giochi del Mediterraneo di Tarragona scatenò la polemica politica tra sinistra e destra. La società va avanti, e quei campioni - che siano nati a Fquih Ben Salah, come Aouani che però è radicato a Ponte Lambro, o alle porte di Roma come Furlani - la portano ancora più lontana: gli italiani di seconda generazione sono italiani e basta, quando si avvolgono nella bandiera e urlano il loro orgoglio.
Il superamento dei confini nazionali nello sport mondiale è fenomeno di lunga data. La storia coloniale di Inghilterra, Francia, Olanda ha inevitabilmente forgiato generazioni di campioni figli di stranieri. Le naturalizzazioni di comodo, specie di paesi ricchi economicamente e poveri sportivamente, hanno fatto il resto. Ma l'Italia è stata un'altra storia: lo dimostrano le tormentate storie di Mario Balotelli ("non esistono neri italiani", gli urlavano gli ultras) o Paola Egonu, nata a Cittadella da genitori nigeriani e presto entrata in rotta di collisione con Vannacci.
Ma se lo sport è spesso strumento di riscatto, in questi casi sono stati gli atleti a risollevare le loro discipline. L'esempio, Furlani: nato a Marino, accento lievemente romano e spigliatezza tutta capitolina, è sempre vicino alla madre senegalese Khaty Seck, ex velocista. Da questo mix è arrivato il primo oro della spedizione azzurra a Tokyo. "Chissenefrega se diranno che sono marocchino e non italiano", ha detto dopo il bronzo della maratona Aouani, primo di cinque fratelli e unico nato in Marocco, genitori marocchini radicati nella periferia milanese, padre lavoratore nei cantieri edili. Il ct del basket, Pozzecco, al recente europeo ha abbracciato Sailou Niang, nato a Dakar e trasferitosi in provincia di Lecco a due anni; storia analoga per Mouhamet Rassoul Diouf, ala grande cresciuto in provincia di Reggio Emilia.
Di "miseri atti di inciviltà razzista" ha parlato il capo dello Stato, Sergio Mattarella, rivolgendosi ai cestiti U.20 che avevano dedicato la loro vittoria europea agli hater che li insultavano per i troppi "neri" o "non italiani" in squadra. La lezione che resta impressa, è quella di un altro 'naturalizzato', Julio Velasco, che nel commentare il mondiale delle sue azzurre e la fama che rincorre campionesse come Egonu ha sintetizzato: "Ci siamo noi personaggi, quel che gli altri ci affibbiano da fuori, e poi noi persone, che facciamo sport, a volte perdiamo, altre vinciamo". Sempre più spesso, e sempre più avanti del mondo di fuori.
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