L'ala azzurra, unico italiano in Nba: "È il mio anno zero, qua credono in me. A Detroit avevo intuito che non potevo scalare posizioni, era demotivante"
Il giorno dopo la prima volta di Simone Fontecchio con Miami è stato abbastanza tosto: al mattino è arrivata in albergo la Fbi per arrestare Terry Rozier, da poche settimane suo compagno agli Heat, per l’inchiesta che ha sconvolto la Nba. "Ero in hotel, non ho visto né sentito niente. Siamo tutti vicini a Terry in questa situazione, vediamo come andrà", ha detto all’indomani nello spogliatoio di Memphis, l’unica mezza frase uscita dagli Heat, visto che coach Spoelstra ha chiarito con la stampa che nessuno avrebbe parlato del caso. La bufera ha messo in secondo piano il basket, e con esso il buon inizio di Fontecchio a Miami: è partito con 13 e 14 punti, ma soprattutto una ventina di minuti di impiego medio, una decina di tiri a partita, recuperi, rimbalzi, ritagliandosi spazio in un ruolo abbastanza intasato tra Wiggins, Jaquez e non solo. "Percepisco la differenza di essere allenato da un coach come Spoelstra che in 18 anni qui ha sempre dato occasioni a chi se le è meritate. Proverò a farmi sempre trovare pronto cercando di guadagnarmi minuti e responsabilità", racconta Fontecchio. Che ha voluto fortemente Miami non solo perché era la squadra per cui faceva il tifo quando nel 2006 vinceva l'anello con Shaq, Wade e Mourning: "Lo sognavo da piccolo, sono felice di essere qui. Non nascondo che anche il luogo ha avuto una certa attrattiva. C’è anche Gallinari... Con una comunità italiana importante, e tanti amici, è anche meglio". Ma soprattutto c’è il basket.
In cosa è diverso essere un giocatore degli Heat?
"Si percepisce anche da fuori che è un ambiente diverso, un po’ come San Antonio, e ne ho avuto la conferma vivendolo da dentro. Qui gli standard sono più alti e questo ti responsabilizza. Non è per tutti, però se abbracci questa cultura e questo modo di pensare, riesci a viverlo e goderne di più. Capisci subito lo sforzo mentale e fisico ti viene richiesto, con riunioni, analisi al video, ma anche incontrando quotidianamente leggende come Pat Riley, Alonzo Mourning, Haslem, che sono sempre presenti: solo averli intorno crea soggezione e rispetto".
Nell’ultimo anno a Detroit, al di là del cambio di allenatore, ha pagato anche l’equivoco dell’inquadramento solo da specialista del tiro.
"In Nba tentano di 'incasellarti' in un’etichetta, almeno per i role player come posso essere io. Soprattutto ho avuto la percezione che non ci fosse margine per scavalcare le posizioni e prendere minuti se dimostravo di meritarlo. Alla lunga è stato demotivante. Prendo atto che è stato un anno difficile: sono contento di esserne uscito, guardiamo avanti. Il numero zero? L’ho scelto perché è un nuovo inizio, una nuova sfida. Riparto da zero con le mente libera, zero pensieri, solo andare in campo e dare il meglio".
Che prospettive sono emerse a Miami?
"Percepisco che il coach ha fiducia in me: riconosce i miei punti di forza e le cose su cui lavorare, mi spinge molto negli aspetti in cui sa di poter contare su di me. È perfettamente consapevole della mia pericolosità da tre punti e quindi mi chiede di prendermi più tiri possibili all’interno dell’attacco, spingendo anche i compagni a cercarmi sempre di più. Obiettivi? Questo è il mio ultimo anno di contratto, il focus è guadagnarsene un altro e riuscirci passerà dalle mie prestazioni, dal tipo di ruolo che riuscirò a ritagliarmi".
Spoelstra è rimasto colpito dalla sua responsabilità per la Nazionale. Come ripensa all’Europeo?
"Non ho iniziato bene. Ho sempre cercato di aiutare la squadra, non solo in attacco, prendendomi responsabilità anche se le cose non giravano per me, ma anche in difesa, a livello di leadership. Abbiamo fatto un ottimo girone, non era scontato finire secondi. Poi uscire agli ottavi non fa piacere a nessuno".
Come ha salutato il ct Pozzecco?
"Ho sempre detto che Poz è stato molto importante per me, come già Sacchetti: mi hanno dato una responsabilità che da piccolo potevo solo sognare di avere in Nazionale. E gli sono grato per come ci ha fatto vivere questi anni, come ha aiutato a creare questo gruppo che all’Europeo 2022 è stato a un passo da un risultato storico, e al Mondiale è arrivato ai quarti che mancavano da tanto".
E come ha salutato il nuovo ct Banchi?
"Ci siamo sentiti, gli ho fatto i complimenti e dato il benvenuto. Non vedo l’ora: conoscendolo e avendo visto gli ottimi risultati della Lettonia, mi fa gola lavorare con lui e vedremo quando sarà possibile".
È stato un pioniere della scelta di andare all’estero, il suo trampolino Nba sono stati Alba e Baskonia: in Italia è più difficile?
"Penso che ognuno di noi abbia il suo percorso, c’è chi ha fatto la propria carriera esplodendo in Italia e chi ha trovato più fortuna all’estero. Dipende anche da che occasioni hai, quali ti vengono date in Italia, però chi doveva - chi più, chi meno - la sua via l’ha sempre trovata. Io a 24 anni ero già stato a Bologna e Milano, se volevo giocare in Eurolega e avere responsabilità non avevo molte alternative ad andare all’estero. Ma in Nazionale ora abbiamo giovani come Diouf e Niang che stanno esplodendo in Italia".
Banchi vede una generazione con un grandissimo futuro: ormai da veterano, lei cosa vede?
"Possiamo sicuramente avere ambizioni. C’è una nuova generazione di ventenni, aggiungo anche Sarr, che hanno qualcosa che ci è mancato negli anni passati: dote atletiche notevoli. Ma quando vieni in Nazionale non è scontato essere pronti, anzi a 18-19 anni è normale che non lo siano: io ho cominciato a fare bene in azzurro a 24-25 anni, ci vuole personalità, non è automatico. Giusto che ci sia attesa, ma bisogna anche dare loro il tempo di maturare".










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