Festa del Cinema di Roma, Tommaso Diaceri: "Il mio corto in latino tra fede e fantascienza"

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Aspirante regista e studente del Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma: "Il futuro non mi spaventa"

Una scena di 'Deus Vult' Una scena di 'Deus Vult'

21 ottobre 2024 | 19.18

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"Voglio affrontare l’arte senza paura come David Lynch e raccontare storie che regalino la magia della scoperta agli occhi di chi le guarda, attraverso personaggi in balia di forti conflitti morali ed etici". Così all'Adnkronos Tommaso Diaceri, 27 anni, giovane promessa del cinema italiano e studente del Centro Sperimentale di Cinematografia - Scuola Nazionale di Cinema. Ad 'Alice nella Città', sezione autonoma e parallela alla Festa del Cinema di Roma, presenta il suo cortometraggio ‘Deus Vult’, prodotto dal Csc. Al centro della storia, girata interamente in lingua latina, c’è lo scontro tra fantascienza e fede per affrontare dilemmi esistenziali che continuano a interrogare ancora oggi l’essere umano, come l’eterna lotta tra bene e male in uno scenario incentrato su una misteriosa missione nello spazio compiuta da sarcerdoti astronauti, uno dei quali sprofondato nell’abisso di una crisi spirituale. È nato chiacchierando con gli insegnati di scuola, primo fra tutti il regista Daniele Luchetti”, ricorda Tommaso. "Ci hanno chiesto di fare una commedia. E così ho portato i preti nello Spazio. Nel cinema italiano - prosegue - non ci sono queste storie, ma nella letteratura sì. Per esempio Ennio Flaiano ha scritto ‘Un marziano a Roma’”, spiega.

“In questo corto non giudico nessuno ma, al contrario, ho messo in scena ogni punto di vista. Poi sta allo spettatore trarre le sue conclusioni”. Ma è anche "un mio modo per dire ‘mettiamoci nei panni degli altri, per chi fa arte è necessaria l’empatia perché consente di avvicinarsi alle persone diverse da noi per comprenderle senza giudizio”. Alla domanda ‘perché vuoi fare cinema?’ Tommaso non ha dubbi sulla risposta: “perché voglio far scoprire le emozioni, anche quelle più profonde. Credo che questo sia il compito dell’artista, nel cinema come nella letteratura”. Il futuro “non mi spaventa, lo voglio affrontare con entusiasmo perché, come dice Lynch, la negatività è nemica dell’arte”, dice Tommaso, che sogna “di riuscire ad arrivare a fare film che riescano a mettermi in contatto con altri esseri umani e ad avere una risonanza nelle loro emozioni”. Questo “manca nel cinema. A volte faccio fatica ad interagire con le storie. Non sono sempre necessari i salti mortali o grandi produzioni - dice - basta un piccolo film che sia capace di dirci qualcosa”, fa notare.

Non sono amante del cinema italiano - questo ha scatenato un po’ di scalpore a scuola, ma è un’altra storia - e mi accorgo che sperimenta poco. Perché? Basti pensare che ci sono meno risorse rispetto al passato e questo porta a puntare sui progetti che, almeno sulla carta, siano vincenti”. Inoltre “l’industria cinematografica italiana è deficitaria di certe espressioni artistiche che altrove ci sono, e questo mi fa arrabbiare”. Per esempio “nel Nord Europa c’è il coraggio di investire in certe storie, a volte anche estreme. Sul concepire il cinema come forma espressiva d’arte siamo molto indietro. Spesso, infatti, non si tratta di problemi finanziari, ma della difficoltà di avere una sensibilità narrativa”, conclude.

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