Dario Argento: "Scelsi la Lazio e mio padre romanista s'infuriò. Quella volta con Chinaglia..."

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Il regista è un grande tifoso biancoceleste: "Laziale dalle scuole medie, oggi spero in Sarri". Oltre al calcio segue anche altri sport: "Che classe Sinner, mentre di Gregorio Paltrinieri ammiro la tenacia"

Elisabetta Esposito

Giornalista

17 luglio - 22:50 - ROMA

Qualche preoccupazione per la sua Lazio c’è, ma per Dario Argento questa resta una grande estate. È da poco al lavoro sul suo nuovo film, mentre il mitico 4 mosche di velluto grigio, opera del 1971, è da lunedì nelle sale nella versione restaurata dalla Cineteca di Bologna in 4K. "Sono particolarmente contento, perché per 15-20 anni la produzione americana ne aveva impedito la distribuzione fuori dai cinema e lo hanno potuto vedere in pochi. Mi fa felice sapere che sta andando molto bene, sono subito sotto i grandi blockbuster americani...". Del resto di maestri del brivido come lui non ce ne sono, da nessuna parte. Dario Argento parla volentieri anche di sport, nonostante il momento non facilissimo che sta passando la Lazio oggi. Perché la passione resta, sempre e comunque. "Sono cose che non si possono cancellare con il passare del tempo. Certo, la passione non è più accesa come quando ero ragazzo, ma c’è. Sono soltanto un po’ più calmo, un po’ più tiepido, ma sarò sempre tifoso della Lazio". 

Quando e dove nasce la sua fede biancoceleste? 

"Ai tempi delle scuole medie, il mio compagno di banco era laziale perché la sua famiglia era tradizionalmente laziale. Ha iniziato a parlarmi dei giocatori, a farmi capire davvero il calcio e mi sono appassionato. Mio padre invece era un acceso romanista...". 

Come la prese? 

"Eh, non benissimo. Ricordo quel giorno come fosse oggi perché la cosa mi impressionò". 

E se si impressiona lei... Ci racconti. 

"Eravamo a tavola e dal nulla mio padre mi chiese: 'Scusa, ma tu di che squadra sei?'. 'Io sono della Lazio', risposi senza esitare. Lui iniziò a urlare: 'Della Lazio? Della Lazio???'. Però mi perdonò subito". 

Meno male. E chi era il suo idolo da ragazzino? 

"Arne Selmosson, un campione vero. Ma ce ne sono stati anche tanti altri".

Arne Selmosson

Quale Lazio ricorda con maggiore affetto? "Naturalmente quella che ha vinto il campionato del 1974, la Lazio di Giorgione Chinaglia. L’ho anche conosciuto, ormai tanti anni fa, a New York. Io ero lì per girare un film e lui è capitato nel mio albergo perché aveva un appuntamento. Ci riconoscemmo e parlammo a lungo". 

Di che cosa? 

"Un po’ di tutto, lui mi chiedeva dell’Italia, io volevo sapere come fosse la vita a New York. Era molto simpatico, anche aperto, una persona da stimare davvero". 

Prima volta allo stadio? Immaginiamo non con suo padre... 

"No, direi con i miei compagni di scuola. Da giovane andavo spesso, lo stadio mi piaceva, poi tra famiglia e lavoro ho un po’ rallentato. Ma parlo tutti i giorni della Lazio nel mio quartiere, a Roma, tra Trieste e Coppedè: parlo con il mio fruttivendolo, il farmacista, il meccanico... Mi tengo aggiornato".

Bene. Allora che idea si è fatto di questa Lazio? 

"Sono un po’ preoccupato con questo mercato bloccato. Speriamo che Sarri riesca comunque a fare la differenza". 

Le piace? 

"Molto, è un ottimo allenatore, io sono un suo grande estimatore. Mi auguro che basti". 

E il presidente Lotito? 

"Beh, guida la Lazio da vent’anni. Sicuramente alla squadra ha dato, non posso che parlarne bene". 

Preoccupato per la Nazionale che rischia di non andare al Mondiale per la terza volta di fila? 

"È una prospettiva orribile, speriamo davvero che non accada. Gattuso? Non so come sia come allenatore, so che da giocatore era pieno di forza e determinazione. Alla Nazionale serve tempra, ma serve soprattutto saper giocare". 

Ricorda i festeggiamenti i Mondiali vinti? 

"Del 2006 non mi ricordo granché, non so perché, ma del 1982 ricordo tutto! Ero a Sabaudia in vacanza con la mia famiglia, siamo scesi tutti in strada e abbiamo sfilato. C’erano anche le mie figliole, del calcio non gliene fregava niente, ma si divertivano. Eravamo molto felici". 

Viriamo sul tennis? 

"Beh, è diventato impossibile non parlare di Sinner. Ha un carattere diverso rispetto al tipico italiano, soprattutto rispetto a noi romani o ai napoletani, ma la sua calma e la sua eleganza mi piacciono tantissimo. Mi piace come si comporta con le autorità e con i raccattapalle, riesce a essere sempre gentile e pacato. Mentre non mi piace per niente lo stile urlante di Alcaraz, con tutte quelle boccacce, strilla, urla, salta, si butta per terra... No, molto meglio la classe di Sinner. E poi il tennis italiano oggi non è soltanto Sinner, ci sono Cobolli, Musetti, Berrettini, anche se sembra si sia un po’ perso nelle nebbie...". 

Altre passioni sportive? 

"Il nuoto, l’ho sempre seguito, con i suoi grandi campioni e i record. Nuotavo anch’io, soprattutto stile libero e dorso. Oggi ammiro davvero Gregorio Paltrinieri, lo ammiro per la sua grande, grande forza di volontà, per grande forza umana, per l’impegno che mette ogni singola volta in quello che fa, dalla vasca alle acque libere. Un uomo tenace che continua a brillare, lo ha fatto anche due giorni ai Mondiali nei 10 chilometri. Un ragazzo straordinario".

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