L’isola di plastica che galleggia fin dagli anni 80 nella parte settentrionale dell’Oceano Pacifico cresce più in fretta del previsto: adesso i detriti hanno un’estensione stimata in circa 1,6 milioni di chilometri quadrati, 3 volte la Francia, e il volume ha ormai sorpassato quello degli organismi viventi in quella stessa zona, minacciando l’ecosistema e l’intero ciclo globale del carbonio a causa del suo impatto sullo zooplancton. Lo indica lo studio pubblicato sulla rivista Environmental Research Letters, condotto dall’organizzazione internazionale no-profit The Ocean Cleanup, che si occupa di sviluppare nuove tecnologie per ripulire gli oceani dalla plastica.
I ricercatori guidati da Laurent Lebreton hanno esaminato campioni provenienti dalle reti utilizzate per la pesca, i dati ottenuti tramite rilievi aerei e i detriti ripescati in 50 operazioni di pulizia condotte tra il 2015 e il 2022. In 7 anni, i frammenti di plastica sono aumentati da 2,9 a 14,2 chilogrammi per chilometro quadrato e, di questi, una percentuale compresa tra 74% e 96% è riconducibile a nuovi rifiuti arrivati nell’area da tutto il globo.
Il fenomeno sembra sia dovuto in particolare all’aumento rapido e inaspettato di frammenti di piccole dimensioni: quelli tra i 5 e i 50 millimetri sono passati da 34mila a 235mila nei campioni esaminati, mentre le microplastiche sono aumentate da 960mila a 1,5 milioni.
“L’aumento esponenziale dei frammenti di plastica osservato nei nostri studi sul campo è una conseguenza diretta di decenni di gestione inadeguata dei rifiuti di plastica”, commenta Lebreton. “I nostri risultati dovrebbero servire da appello urgente all’azione per i legislatori impegnati nella negoziazione di un trattato globale per porre fine all’inquinamento da plastica: ora più che mai – aggiunge il ricercatore – è essenziale un intervento globale deciso e coordinato”.
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