Il figlio ricorda papà Giuseppe, grande dirigente modenese, nato 100 anni fa: "Dall’azienda che lo ha reso famoso nel mondo, al club di pallavolo. Era un vulcano"
Un visionario che ha cambiato l’infanzia di milioni di bambini. Cent’anni fa, a Pozza di Maranello, è nato Giuseppe Panini, il “padre” delle figurine che hanno accompagnato generazioni di giovani innamorati del calcio. Un uomo appassionato, che lunedì 17 novembre verrà ricordato in un evento al PalaPanini, l’impianto che porta il suo nome, il palasport dove per anni ha visto vincere la squadra di pallavolo fondata negli Anni Sessanta.
Una serata fortemente voluta dai figli. Antonio, che ricordo ha di suo papà?
"Era una persona molto dinamica, aveva mille idee, mille iniziative. Il progetto delle figurine è il più popolare e lui lo ha condiviso con la sua famiglia, perché l’azienda nasce dalla collaborazione di quattro fratelli e quattro sorelle".
Per Giuseppe le sfide sono subito state importanti...
"Il padre è morto quando gli otto fratelli erano tutti piccoli, con nonna rimasta vedova a 41 anni, nel 1941 con la guerra scoppiata da poco. Papà, a 16 anni, era il maschio più grande di famiglia. Contrasse poi una tubercolosi ossea: fu sottoposto a un intervento sperimentale negli Anni Cinquanta e sopravvisse".
Le prime esperienze lavorative non sono state incoraggianti...
"Era un giovane garzone alla Ferrari. Un giorno, quando era di turno al forno, decise di sedersi su un secchio. Passò Enzo Ferrari che lo vide così, durante l’orario di lavoro. Al termine del turno arrivò il capo reparto che gli disse: “Panini, non venire domani: sei licenziato”. Anni dopo papà incontrò Ferrari e gli disse: “Quell’episodio mi ha cambiato la vita”".
Nell’immaginario di generazioni di bambini cresciuti con le figurine, lei è stato molto invidiato: le collezionava? Giocava con gli amici?
"Sì, ma non potevo vivere le emozioni degli altri bambini. Non avevo il gusto dell’acquisto, quello di aprire le bustine per scoprire chi avrei trovato. È un po’ come chiedere al figlio di Ferrero se gli piace la cioccolata. Quando è stata aperta la sede di via Emilio Po, a Modena, la nostra casa era al piano di sopra, quindi spesso scendevo in fabbrica dove potevo trovare tutte le figurine che volevo. Spesso le avevo in tasca e le regalavo agli amici".
Le figurine non erano l’unica passione di papà. Quali altri mondi amava esplorare?
"Mia sorella ama dire che papà aveva l’hobby di avere hobby. È stato presidente della Camera di Commercio a Modena per un mandato di sette anni, era appassionato di enigmistica e ha organizzato un convegno nazionale a Modena nel 1977. E poi la pallavolo. Ma nonostante tutto questo è stato un genitore molto presente".
Perché suo papà si avvicina alla pallavolo?
"Tutto nasce da una visita del professor Anderlini, una figura chiave per il volley a Modena. A metà Anni Sessanta chiede a papà dei quattrini per finanziare un campionato locale. In città c’erano delle squadre di tradizione, ma il professore voleva fare una squadra sua. Giuseppe si convinse e contribuì subito con 400.000 lire. I ragazzi non prendevano soldi, quei soldi servivano per pagare le trasferte, il pullman, le magliette, l’iscrizione al campionato. Nel 1966 viene fondato il gruppo sportivo che, dalla serie C di allora, sarebbe arrivato fino alla serie A. Nel 1970 è stato conquistato il primo scudetto e ancora oggi gioca in Superlega".
Negli Anni Ottanta alla Panini Modena arriva Julio Velasco come allenatore. Che rapporto c’era tra Giuseppe Panini e il tecnico?
"Hanno avuto un rapporto umano, personale, stretto. Papà però non ha lanciato Julio. Ha solo avuto il pregio di avergli dato l’opportunità di mettere in mostra il suo talento".
E con i giocatori della Panini Modena che rapporto aveva?
"Papà è sempre stato un cultore del lavoro di gruppo, quindi anche nello sport amava l’esaltazione della squadra. Mi ricordo che spesso, alla sera, finito il lavoro, passava a salutare i giocatori nel ristorante convenzionato dove si trovavano per cena. E lì si dilettava a suonare la fisarmonica, altra sua passione, per gli atleti. Aveva imparato durante la malattia, tanto che con i fratelli aveva anche messo su un complesso".
Dei calciatori immortalati negli album delle figurine, con chi Giuseppe ha avuto un rapporto d’amicizia?
"Con Gianni Rivera. A metà Anni Sessanta, con papà e mamma, eravamo soliti andare al mare, a Forte dei Marmi, nella stessa pensione dove erano in villeggiatura anche i genitori di Rivera. E lui, nonostante fosse un campione affermato, ogni anno passava almeno una settimana con i suoi al mare. Così ci siamo conosciuti e negli anni successivi siamo sempre rimasti in contatto, tanto da andarlo a trovare anche nell’anno del militare".
Tutto è nato dal chiosco dove la sua famiglia vendeva giornali. Esiste ancora quell’edicola?
"Purtroppo no. La struttura si era ammalorata. Al suo posto, su una colonna del portico, dove un tempo c’era il chiosco, abbiamo messo una scultura in bronzo dell’artista Weiner Vaccari che rappresenta la famosa rovesciata di Parola, il simbolo delle figurine Panini".
La famiglia è sempre rimasta legata alla città di Modena...
"Amiamo tutto di questa terra. C’è un grande legame con la città. Senza l’aiuto di molti modenesi non sarebbe successo tutto questo. Pensi che quando abbiamo aperto la fabbrica di Viale Emilio Po abbiamo convinto un barbiere che lavorava lì vicino a trasferirsi a lavorare da noi in azienda. Ha chiuso il negozio, ma ha portato con se la poltrona dove faceva sedere i clienti. Così, durante i turni di lavoro, spesso tagliava i capelli ai colleghi".











English (US) ·